lunedì 23 aprile 2012

La giornata del libro

È come la giornata della mamma, della terra, del clima, dell'ambiente, del chissà che diavolo d'altro.
Il mondo ha bisogno oggi di dare un nome laico a ogni giornata, mentre la chiesa, da millenni, ha monopolizzato il calendario con i nomi dei suoi presunti eroi.
Il problema vero, e sono volutamente demagogico e scontato anche se velenoso, è che in un paese in cui si legge sempre meno e sempre più male, la giornata mondiale del libro porta sì un po' di attenzione al tema, riempie per qualche ora qualche libreria in più, ma di fatto non risolve niente.
Meglio qualcosa che nulla? Sono d'accordo.
Ma credo che il problema sia da una parte culturale, e dall'altra, come si diceva nei bei tempi andati, politico.
La scuola deve fare la sua parte.
Alla scuola di mio figlio, otto anni, siamo riusciti - dopo mesi di insistenza - ad avviare un servizio di biblioteca nelle classi che permette ai bambini di attingere a una serie di libri, scelti in collaborazione con le maestre, loro indicati e sicuramente utili alla loro crescita.
Quindi la scuola ha un ruolo centrale nella formazione alla lettura delle giovani generazioni.
Ma è chiaro anche il ruolo fondamentale delle famiglie, dei genitori, che devono sollecitare, interessare, promuovere, indicare e avviare i bambini alla lettura. La lettura deve essere un gioco, deve essere accompagnata da mamma e papà, in modo da renderla interessante, avventurosa, spericolata, insidiosa e trascinante.
Il problema sono gli adulti. Generazioni e generazioni di cervelli obnubilati da Rete4 e da Grandi Fratelli, da mamme e papà alla ricerca edonistica della propria bellezza e gioventù andate, da visite costanti e reiterate allo stadio, non aiutano certamente i fatturati delle case editrici.
Come fare a portare la 'gente' tra le pagine dei libri? Come fare a rendere così affascinanti le avventure lette da spegnere l'odiata Tv, almeno un po'?
La battaglia è persa, forse, ma qualcosa si potrebbe fare.
La comunicazione in questo senso è un'arma formidabile. Comunicare in modo serio, intelligente e di profilo la lettura è fondamentale.
Così come la promozione commerciale. Sconti, programmi, giornate, tutto va bene.
E poi, fondamentale, un'azione legislativa che sostenga il settore, che non stronchi le voci fuori dal coro e che aiuti tutti a leggere sempre di più, meglio e nel tempo.
Sogni, solo sogni.
Io so solo che sempre più spesso, entro nelle case di amici e conoscenti, e non vedo librerie, non vedo libri, non ne sento parlare...
Comunque la pensiate: viva i libri!


mercoledì 18 aprile 2012

Le Tigri di Mompracem

di Emilio Salgari - Einaudi

Ho ricomprato questo libro con l'obbiettivo, chiaro e determinato, di leggerlo con mio figlio di otto anni. Insieme. Dopo 45anni. E ho fatto un errore, duplice.
Primo perché il linguaggio è troppo arcaico per un bambino di oggi. Leggere con lui e dover 'tradurre' quasi ogni riga in modo che la comprenda è una sfida impossibile, oltre a farmi venire la raucedine. 
Secondo perché il libro è veramente noioso.
O meglio Sandokan, la Tigre della Malesia, l'eroe di intere generazioni, la furia dei mari che lotta contro gli inglesi invasori, è sì un grande condottiero (forse), un fiero combattente (forse), ma almeno in questo libro - il primo della serie malese - è anche un bamboccio (sicuro) che ha perso la testa per una ragazzina, per di più inglese, che quindi tanto bella non può essere. Tra l'altro poco più che maggiorenne.
Insomma un eroe travolto più che dalla furia dei mari e dagli uragani, dalla sua tempesta ormonale post-adolescenziale. È un continuo lamento, noioso, fastidioso e decisamente poco eroico, il suo.
Una delusione, dopo oltre quarant'anni, da cui non mi rimetterò mai più.
Penso che smetterò di leggere... Mi butto sul body-building.

venerdì 13 aprile 2012

Al momento della scomparsa la ragazza indossava

di Colin Dexter - Sellerio


Volete finalmente cadere su un’indagine poliziesca come si deve, con gli indizi, i sospettati, il poliziotto imbranato, il suo capo che lo tratta male, l’ambiente che rema contro?
Bene prendete questo libro. Poi mi dite.
È il secondo della serie anni ’70 di Colin Dexter, che Sellerio sta pubblicando (è appena uscito il terzo).
Nell’Inghilterra perbenista e bacchettona, di provincia, il commissario Morse (proprio come l’alfabeto) si aggira per le strade dell’area intorno a Oxford alle prese con la scomparsa di una ragazza liceale.
E sapete il bello di questo personaggio dalle capacità improbabili qual è?
È la sua incapacità a concentrarsi, a non volare via con la mente, a trattenersi dal bere troppa birra, che lo portano direttamente a prendere cantonate continue e reiterate, fino alla soluzione finale, tra l’altro sospesa. Un uomo che probabilmente nella vita reale perderebbe il posto o verrebbe inviato a dirigere il traffico. Ma ha il suo fascino, un po' melanconico.
È un libro piacevole, di ampio svago, letto stancamente durante le vacanze pasquali tra una pioggia e l’altra. Una buona compagnia.
Ne ha scritti tredici.

martedì 10 aprile 2012

Hanno tutti ragione

di Paolo Sorrentino - Feltrinelli

Parte bene questo libro. E si spegne, violentemente, quasi subito.
Fino a disgustare.
Non mi piace, non mi piace e non mi piace.
Nient'altro.

La forza del destino

di Marco Vichi - Guanda


Questo libro è bellissimo, onirico, straordinariamente appassionante. Provare per credere.
Vi dovete rassegnare. Ormai la letteratura gialla è scrittura di pregio, spesso altissima, esclusiva.
E gli snob, poverini, si fottano!
L’ultima impresa dell’ormai ex- commissario Bordelli, nella Firenze anni ’60, è la perfetta sintesi tra un passato ingombrante, la nuova vita ‘contadina’ del commissario fuggito dalla polizia, e la giustizia, quella vera.
Per poterlo leggere, questo libro, è necessario o aver letto quello precedente - tutto nasce da lì - oppure dotarsi di un un buon riassunto che tracci i contorni della storia, orribile, che era da portante narrativa.
Un’orribile storia di violenza su un bambino, a opera di quattro ignobili essere dalle diverse posizioni sociali.
In questo ultimo libro Bordelli, stomacato da quanto successo in passato, si è dimesso, deciso a farla finita con le sofferenze e gli orrori di un mondo sempre più violento, orribile e  inaccettabile. Si ritira in un casolare in campagna, da dove, però, ha l’occasione della sua vita per fare giustizia, almeno la sua.
Il libro ha un’aria melanconica, rinuncia al giallo puro tradizionale e affronta una serie di storie in contemporanea che trascinano l’ex-commissario, forse controvoglia, nel mondo che ha appena abbandonato.
È bellissima la figura di questo uomo, disilluso e arrabbiato, che si ritrova ad affrontare una crisi violenta, sia professionale sia personale, che lo porta a scelte estreme, al limite, oltre il limite.
Ed è bellissimo lo scenario, selvaggio e composito, in cui l’uomo si aggira, tutti i giorni, come un segugio, alla ricerca di verità e di sentenze.
Gli anni ’60, affascinanti anche nei suoi falsi miti, fanno da contorno. 
Adoro Vichi, anche se sono sposato con figli.

La fuga del signor Monde

di Georges Simenon - Adelphi


Dedicato a chi è riuscito a scappare. Dedicato a chi riesce a fuggire. Dedicato a chi, almeno per un po’, è riuscito a scomparire.
Il signor Monde, la mattina del suo compleanno, mentre il suo autista lo sta portando al lavoro, come ogni giorno, decide di scomparire, lasciando moglie e figli, azienda, passato e la sua vita di tutti i giorni. Si rade, si cambia, prende il primo treno verso la costa azzurra e corre a vedere il mare.
Poi incontra una donna, trova un lavoro, vive un’esistenza agli antipodi della sua storia. Fino a incontrare la sua ex moglie che gli sconvolgerà di nuovo la vita fino alla soluzione finale, forse inattesa.
Simenon affronta uno dei suoi temi più cari. La ribellione del borghese, forse piccolo piccolo, che un giorno si ritrova a cercare una nuova via, una nuova vita.
L’ipocrisia di tutti i giorni, i finti affetti, le consuetudine sociale: cancellate con un colpo di spugna per ritrovarsi a vivere, forse per la prima volta, la ‘propria’ vita, e non quella che gli altri ci hanno imposto.
E allora Nizza, la ragazza del casinò, il gioco d’azzardo...
Simenon ha la capacità di sbatterci in faccia quello che tutti intimamente pensiamo, che tutti ci domandiamo: siamo felici?
Sempre più sublime, l’autore belga. 
La mia speranza è che la pubblicazione di tutti i romanzi, che Adelphi ha intrapreso, non finisca mai.

La carta più alta

di Marco Malvaldi - Sellerio


La maldicenza, il pettegolezzo sono ‘malattie’ umane, che si manifestano all’ennesima potenza in un piccolo paese di provincia. Aggiungici quattro anziani che non hanno nulla da fare tutto il giorno, un bar gestito dal nipote e la frittata è fatta.
E il caos è servito.
Un omicidio del passato, un affare poco pulito, la rincorsa di eredi al patrimonio, sono gli elementi fondamentali di questo intricato giallo di provincia in cui il solito Massimo, barista di professione, viene trascinato dalle lingue lunghe dei vecchietti al tavolo sotto l’olmo, e dalla loro voglia di rompere la noia quotidiana.
Lo scenario è sempre lo stesso, i personaggi uguali a se stessi, la forza e le piccolezze del piccolo centro toscano le consuete. 
Eppure, ogni volta Malvaldi ha la capacità di nascondere l’eventuale ritualità e la pericolosa noia del lettore attraverso uno stile veloce, determinato e soprattutto ‘moderno’.
Una modernità che vuol dire sapere dare al lettore quello che vuole, accelerare dove serve, fermarsi a pensare quando è necessario.
Questo è saper scrivere.
E Malvaldi lo sa fare.

Fedeli a San Siro

di Claudio Sanfilippo e Tiziano Marelli - Mondadori


Allora...io non sopporto il calcio, non capisco questo rito tribale settimanale che sembra far emergere il peggio del peggio della decadenza umana, non comprendo come padri di famiglia attempati possano rendersi sgradevoli e volgari, o peggio ancora tristi all’inverosimile, di fronte a 22 trogloditi miliardari che tra l’altro, sempre più spesso, comprano e si vendono le partite. Ma tant’è.
Questo libro l’ho comprato, assaporato e digerito soprattutto perché uno dei due autori è un caro amico del passato, con cui ho condiviso scuola e passione politica ormai qualche epoca jurassica fa.
Ma l’ho fatto mio perché parla sì di calcio - e dell’eterna lotta tra le due squadre milanesi, degli sberleffi, degli insulti tra tifoserie, della rivalità fino all’inverosimile -, ma soprattutto perché racconta un’amicizia e la racconta dando ampi sguardi al passato, a quell’epoca ricca di forti passioni politiche e, maledizione!, a quegli anni in cui eravamo giovani.
Fedeli a San Siro è un inno all’amore vero, per me un po’ malsano, verso la propria squadra e verso questo sport  - ormai soporifero e mortale! - che è il calcio. Ma il libro è anche un grido di nostalgia.
Nelle sue pagine si legge di partite vere, di pasticcerie, di bar dell’angolo, di amicizie vere, di forti passioni, di partitelle nei campetti periferici, di zii e nonni, nonché di corse sfrenate in mezzo al campo di San Siro con calzoni rossi al seguito. 
Il libro ci racconta una Milano ormai morta e sepolta, un calcio che non c’è più e una correttezza - fatta anche di calcioni negli stinchi! -  che oggi ce la sogniamo. 
Quando gli autori si accorgeranno che il calcio non esiste più, forse si risveglieranno da un incubo. 
O forse no.
Forse lo sanno già, ma l’amore, quello vero, si sa, ha gli occhi bendati. Proprio come la fortuna.
Sarà un caso?

Zia Antonia sapeva di menta

di Andrea Vitali - Garzanti


Prima o poi, tutti facciamo quella fine lì, invecchiamo. Non c’è speranza. Anche se ormai molti a 60anni si vestono come mio figlio che ne ha 8... e a 70 come mio nipote che ne ha 20. Si inganna solo se stessi.
Vitali questa volta sceglie una casa di cura per anziani - di stretto ordine religioso - come scenario principale per un tentato raggiro, questioni ereditarie, affetti sinceri e filiali bancarie.
Questa prova dell’autore lacustre è più lieve di molte altre. Nonostante l’intrigo, la famelica voglia di accaparrarsi la ‘roba’ e i soldi, nonostante le bassezze di gente piccola, Vitali riesce a raccontare il tutto con la sua insolita leggerezza.
Ci trasporta in un intricata storia dove gli affetti, quelli veri, una volta tanto, hanno la meglio, contro l'ignoranza, l'egoismo e la cattiveria.
Il lago è sempre nello sfondo, grigio e torbido nei giorni di pioggia, blu e invitante nelle giornate di bel tempo. E le vie di Bellano, intricate e misteriose, riescono ancora oggi, dopo non so quanti libri, a condurci verso una lettura piacevole e soave, strappandoci sorrisi e suoni di approvazione.
Forse, lo dico spesso, Vitali scrive troppo. Dovrebbe centellinare un po’ di più i suoi racconti. Ma è anche vero che dopo un po’ ci si chiede: ‘Ma Vitali non scrive più?’, mostrando seri segni di crisi d’astinenza...

domenica 8 aprile 2012

Il mercante dei libri maledetti

di Marcello Simoni - Nuova Narrativa Newton


Non voglio fare lo spocchioso ma lo faccio, eh per dio. Ma come si fa a scrivere simili libri e anche a pubblicarli?
Adoro la letteratura ambientata nel medioevo, il periodo storico più affascinante e colorato della storia, nonostante quello che molti ci raccontano.
Adoro la letteratura gialla, gli intrighi, le indagini, i personaggi che popolano questi libri, gli scenari che circondano la storia.
Ma adoro ancora di più la letteratura gialla lanciata a corpo morto nel mondo medievale. È la quadratura del cerchio letterario.
Questa storia non sta in piedi, è noiosa, finta intrigante, scritta male e pure monca.
L’autore ci porta all’interno di un’antica diatriba fatta di potere e libri che, presumibilmente, dovrebbero distribuire a piene mani la capacità forze e conoscenze assolute. 
Fin dall’inizio si respira aria di insulso intrigo, di una storia che non sta in piedi e che cerca di essere misteriosa.
Mi arrabbio, terribilmente, dio fronte a questi libri, prodotti di marketing, strillati ai sette venti e che svaniscono al sole come neve primaverile.
Bisognerebbe promuovere una legge che preveda il rimborso quando si incrociano simili sconcezze. 

L'assassino

di Georges Simenon - Adelphi


Gli schiaffi che riesce a dare Simenon con ogni libro che ci manda in terra mette a dura prova anche il campione di pesi massimi di boxe.
Questa volta ci rifila senza mezzi termini una storia di perbenismo e di retriva borghesia che sfocia nel più atroce dei delitti a sfondo familiare.
È uno degli uomini più in vista del villaggio - questa volta in Olanda - che a seguito di una lettera anonima viene a conoscenza dei continui tradimenti della moglie ogni volta che per lavoro si assenta da casa.
E sulla base di questa lettera anonima, acquista una pistola durante il suo viaggio periodico, torna prima del previsto, coglie in fragrante la moglie con l’amante, li ammazza tutti e due e comincia quindi una storia di vedovanza fatta di ulteriori falsità, di recita sociale, di sconvenienze sociali fino alla conclusione, dovuta e obbligatoria.
Forse i romanzi di Simenon sono tutti ‘uguali’.
Forse rincorrono tutti un mondo perbenista che un giorno decide di sfondare la barricata e ribellarsi grazie a abbandoni, omicidi, fughe...
Ma ogni volta coglie l’obbiettivo di sbatterti in faccia la mediocrità della vita di tutti i giorni fino a mescolarti le budella fino a ritorcerle.
Ogni volta che finisci i suoi libri sei come entrato in un frullatore.

Allmen e le libellule

di Martin Suter - Sellerio


Io, della Svizzera, non ho proprio alcuna attrazione. Non mi affascina per nulla. Mi piace molto il cioccolato, la puntualità, il rispetto delle regole. Ma la Svizzera non è tra i luoghi preferiti. 
Ma Martin Suter mi piace, mi intriga, mi trascina.
Ha la capacità di risucchiarti violentemente nelle sue storie. Difficilmente ci si distrae, leggendo Suter.
Dopo la narrativa classica dei libri che me lo hanno fatto conoscere, con questa opera Suter, a quanto sembra, sbarca nella letteratura gialla con un personaggio protagonista che non ha proprio l’aria dell’investigatore tradizionale o del commissario di polizia.
Ci troviamo di fronte a un ricco decaduto amante dell’arte e dei suoi traffici, che tra una truffa e l’altra per poter campare, si imbatte in un omicidio e, per forza, ne indaga le cause risolvendo alla fine il caso.
Come spesso capita, i libri gialli, soprattutto per quelli di autori stranieri, sono un pretesto per buttare l’occhio nei mondi che circondano la storia.
La Svizzera tedesca, con i suoi misteri, con le sue miserie intellettuali, con i suoi soldi debordanti e tiranni, emerge in tutta la sua squallida convivenza.
È la fotografia, impietosa, di una società opulenta che ormai sente sempre di più odore di decadenza, di crollo, di fine.
Allmen, il protagonista, in collaborazione con Carlos, il suo collaboratore domestico clandestino, si dimena, cerca di mantenere il suo staus sociale, annusa omicidi, risolve il caso...ma alla fine gli resta un amaro in bocca difficile da mandare giù. Anche con il cioccolato più raffinato.
Sembra sia l’inizio di una serie.

La pentola dell'oro

di James Stephens - Adelphi


Ormai di libri ne ho letti molti, non sono più un ragazzino, ahimè.
Ma questo li batte tutti per stramberia, fantasia, follia narrativa e per una storia che non ha né capo né coda.
Un libro fantastico, che ci porta per mano nel mondo fantastico dei folletti irlandesi, dei boschi fatati, sotto la guida di un cosiddetto filosofo che oltre ad ammorbare tutto e tutti con i suoi interventi verbosi, con le sue discussioni storico/filosofico/sociali, parte un giorno alla ricerca di un dio per cercare di convincerlo a liberare una fanciulla.
La storia è folle di per sé.
Ma è il continuo uscire e entrare nella trama, la costante eccentricità di quello che succede, gli incontri al limite non tanto del realismo ma dell’ospedale psichiatrico, che rende questo viaggio della fantasia straordinario, unico e sicuramente insolito.
Si fa fatica a leggerlo. Si fa fatica a finirlo. Bisogna avere la mente pronta, e soprattutto, leggerlo velocemente.
Il rischio è perdersi in qualche bosco della verde Irlanda alla ricerca, perché no?, anche noi, di qualche dio nascosto e protetto da qualche folletto dall’aspetto simpatico, sperando di raccogliere la pentola dell’oro nascosta sotto quell’albero.

L'uomo inquieto

di Henning Mankell - Marsilio


Come spesso accade, gli autori di serial gialli, a un certo punto, probabilmente perché non ne possono più, ‘uccidono’ il loro eroe protagonista. Incuranti del successo che gli ha fatto raggiungere, dei danari guadagnati, della sua inscindibile dedizione.
L’unico che ha resistito - almeno dei grandi -, credo, sia Simenon con il suo Maigret, sopravvissuto al suo creatore.
Anche Mankell non è diverso.
E così, dopo oltre dieci tomi che hanno raccontato delitti, solitudini, tristezze, amicizie, amori, viaggi, pranzi e cene, oltre che scenari, ambienti e spicciola sociologia, l’autore ha deciso di terminare il suo protagonista, il commissario 
Wallander, triste e solo servitore della patria scandinava.
Per anni il commissario ha indagato, combattuto e sconfitto ogni genere di crimini venuti dal freddo, ha affrontato ogni tipo di sfide, ha fatto il fine psicologo, ha agito come tutti i poliziotti che si rispettano.
Questa ultima indagine è solo un pretesto.
Non me la ricordo neanche. È solo da sfondo al decadimento fisico e psichico del nostro eroe che, segnale dopo segnale, approda alla malattia finale, che lo porta alla morte.
Wallander è stato un grandissimo della letteratura cosiddetta poliziesca. Soprattutto perché più di tutti ci ha fatto conoscere la società svedese, la sua decadenza, il suo abbandono del modello sociale più straordinario al mondo.
Ci mancherà. 
Mankell avrà avuto le sue ragioni. Di certo non ha ascoltato le nostre.

sabato 7 aprile 2012

La casa di ringhiera

di Francesco Recami - Sellerio


Questo libro non mi piace, mi irrita, mi disgusta.
Non so se lo stesso è per l’autore, che naturalmente non conosco e di cui ho acquistato altri libri, che spero mi riconcilino con la sua scrittura.
Questo è un libro che ha voglia di sensazionalismo, di provocare senza trasgredire. Vuole solo colpire allo stomaco, senza dare una via di uscita al lettore.
Vuole solo provocare.
E a me le provocazioni, senza fine, non mi piacciono.
Uno scrittore deve dare vie d’uscita, deve lasciare qualche porta aperta. Al contrario, così la penso, è inutile che scriva. Può fare il killer, può vendere droga, può fare la fine di Michael Douglas in ‘Un giorno di ordinaria follia’.
Sono stufo di dover far fronte a una vena di insano pessimismo che trascina tutto: sentimenti, amicizie, affetti, voglia di convivere. Ma soprattutto voglia di migliorare questo schifoso mondo.
Forse non ho capito nulla, intendiamoci.
E poi i bambini, maledizione, devono essere lasciati stare, non diventare oggetto di delle peggio nefandezze e ossessioni.
La vita è così?, mi dite...
Non tutta, solo quella dei paranoici. 
E non è obbligatorio raccontarla, proprio no.
 
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